Un Modello Economico Davvero Sostenibile?

Frequentemente oggi si parla di un nuovo modello progettuale, all’apparenza il più sostenibile, pratico e conveniente, che sta riscuotendo successo in campo edilizio: l’architettura modulare. Riduzione dei tempi di costruzione, minor impatto ambientale e contenimento dei costi sono tra le prime qualità che ci vengono suggerite da questo nuovo sistema costruttivo. Ma quali sono le ragioni di questo fenomeno?In primo luogo, la strategia della produzione modulare permette un complessivo abbattimento dei costi legati alla catena del valore. La maggiore efficienza si distribuisce su tutta la filiera, poiché consente di concentrare e rendere più efficienti i processi, minimizzando i costi e i tempi di lavorazione delle materie prime. Nel campo dell’architettura, il sistema permette, inoltre, di abbattere notevolmente i tempi di realizzazione dell’opera, con la possibilità di fornire soluzioni abitative finite con tempistiche ridotte e predeterminate. Risulta inoltre vantaggiosa la capacità di ridurre l’impatto ambientale tramite una maggiore attenzione connessa all’efficientamento della filiera e, prevalentemente, dalla capacità di pianificare mezzi e strumenti da applicare alle soluzioni abitative offerte. In un contesto europeo dove le già forti disuguaglianze sociali si stanno acuendo a causa della crisi pandemica, risulta indispensabile ragionare sul concetto di abitazione1 e sulle modalità di accesso ai servizi di base essenziali. In questo senso, l’architettura modulare può essere certamente un mezzo per costruire abitazioni sicure e a prezzi calmierati, stabilendo canoni di locazione più bassi rispetto a quelli offerti dal mercato. L’architettura modulare riesce così a proporre soluzioni abitative ad un più ampio gruppo di persone, offrendo la possibilità di vivere in contesti abitativi diversi dalle grandi aree urbane2 che presentano costi delle abitazioni sempre più elevati, andando quindi incontro all’esigenza di ripopolamento delle aree extra urbane o peri-urbane. Dal punto di vista ambientale, d’altro canto, sembrerebbe che concepire la filiera produttiva in maniera concentrata permetta di efficientare le produzioni abbattendo l’impatto che esse hanno su emissioni, materie prime, consumo di materiali e gestione del tempo. Sebbene tale produzione permetta di fornire un singolo prodotto in tempi esigui, questo modello produttivo restituisce il più delle volte una sovrapproduzione dell’offerta. Se infatti la filiera produttiva subisce un efficientamento, la capacità produttiva aumenta e, di conseguenza, l’impatto ambientale di tale produzione risulta invariato a lungo termine.Nonostante però lo scenario economico suggerisca l’architettura modulare come strumento di progettazione economicamente vantaggiosa (seppur parzialmente critica dalla prospettiva ambientale), la questione resta ancora aperta da un punto di vista antropologico. La società di oggi, infatti, non sembrerebbe presentare nessuna delle caratteristiche dell’uomo moderno, figlio della rivoluzione industriale e della produzione in serie del secolo scorso. Al contrario, la società attuale è somma di individui dall’identità unica: uomini e donne la cui più alta ambizione è poter esprimere la propria individualità. L’architettura prodotta in serie non sembrerebbe quindi essere in linea con la società contemporanea.Numerosi sono le testimonianze del passato che ci hanno mostrato le criticità dell’architettura modulare. Ne è un esempio la Nakagin Capsule Tower di Tokyo. Costruita nel 1972 dall’architetto Kurokawa Kisho (1934-2007), l’edificio è composto da 140 unità abitative sovrapposte a formare una torre. L’edificio è il diretto risultato delle teorie fondanti il movimento metabolista giapponese che, verso la fine degli anni Cinquanta, si poneva l’obiettivo di reinventare l’architettura ispirandosi alla biologia del corpo umano: edifici pensati come organi viventi, capaci di rinnovarsi nel tempo come accade per le cellule umane in funzione delle esigenze mutevoli dei residenti. Sebbene l’idea di un’architettura modulare intercambiabile, flessibile ed estensibile sia ancora attuale, ad oggi non ha portato però i frutti desiderati. Pensate per essere rinnovate e sostituite ogni 25 anni, la storia ci ha invece dimostrato che alcun cambiamento significativo è avvenuto dall’ormai lontano 1972, restituendo ad oggi un edificio pressoché in totale stato di abbandono, usura e declino. Questo esempio, arrivato dal passato, ci permette oggi di riflettere su quali potrebbero essere gli esiti di un’architettura modulare nel prossimo futuro. Se infatti tale sistema costruttivo non ha ricevuto alcun tipo di cura in un periodo storico caratterizzato da una crescita economica costante, ad oggi sembrerebbe ancora più utopico pensare ad un piano di investimento a lungo termine, a fronte della situazione economica stagnante in cui ci troviamo dall’ormai lontano 2008.

In linea teorica quindi, il prodotto risultante di un processo di produzione modulare sembrerebbe rispondere ai principi fondanti l’economia circolare ma, nella messa in pratica, ciò si traduce in un prodotto incapace di assecondare le esigenze e le possibilità della società, generando un vero e proprio rifiuto da parte di quest’ultima piuttosto che il suo riuso. Una modalità di operare, quindi, che non produce l’esito sperato in termini di sostenibilità del processo. In questo caso si vuole intendere il termine sostenibilità nella sua più pura definizione: “che si sostiene”, ossia che è in grado di sostenersi sia dal punto di vista ambientale, che economico e sociale. Mancando infatti di una visione globale, che includa non solo l’aspetto economico e produttivo, ma anche la percezione degli spazi urbani e domestici da parte dell’utente, tale sistema costruttivo sembra non rispondere alla necessità di integrazione tra individuo e luogo. Emerge quindi un sentimento di alienazione da parte dell’abitante, incapace di instaurare una connessione fruttuosa con quelle linee della domesticità autentica in grado di produrre empatia. Intesa come un senso di appartenenza e di appropriazione, che si può declinare a livello urbano nell’atto del riconoscimento del luogo, l’empatia urbana affiora nel momento in cui l’individuo è in grado di riconoscere gli spazi e gli edifici che lo circondano, riuscendo facilmente a ricordare la strada da lui percorsa perché in essa riconosce un senso di familiarità. Tale fenomeno risulta difficile in un territorio immaginario costituito esclusivamente da architetture modulari, tutte uguali, ripetute all’infinito. Sebbene inoltre, a scala urbana, l’empatia dell’abitare si riveli significante ai fini sociali e quindi economici, è nello spazio domestico che questa raggiunge la sua massima espressione. La propria abitazione, riflesso dell’io dell’individuo, può essere interpretata come luogo per eccellenza di quella empatia costruita sul nostro spazio interiore, che è alla base delle interazioni umane. Il concetto di empatia non si può limitare infatti solo ad una visione individualistica, intesa come relazione tra uomo e spazio, ma in termini di rapporto tra uomo – spazio – uomo: ossia la capacità degli individui di instaurare un legame di reciproca mediazione, per mezzo di uno spazio costruito a misura d’uomo. L’empatia è infatti quella “introspezione vicariante”, quel “tentativo di sperimentare, da parte di una persona, la vita interiore di un’altra, pur conservando nello stesso tempo la posizione di osservatore imparziale”. (Kohut)L’espressione massima dell’empatia domestica si può trovare in quei luoghi in cui le abitazioni sorgono spontaneamente su iniziativa degli abitanti. Prendiamo per esempio il lavoro del fotografo Marco Tiberio, che si diverte ad immaginare la rivista di un’agenzia immobiliare del campo profughi di Calais, in Francia. Ogni abitazione, seppur temporanea, risulta unica ed è accompagnata dalla sua descrizione specifica. Avventurandosi all’interno delle tende con gli scatti di Mary Turner ritroviamo un personalissimo utilizzo degli spazi3 Riferendosi invece all’architettura come risultato di un prodotto in serie, il fotografo Christoph Gielen ci regala un inedito punto di vista su alcune cittadine americane. Le sue vedute aeree di queste città rimandano a disegni geometrici per nulla spontanei. La metodicità e l’ordine dell’impianto architettonico appare evidentemente deciso a priori, in uno schema che non può non lasciare spaesato il visitatore occasionale. In tale tipo di architettura, seppur non modulare ma fortemente seriale, risulta estremamente difficile fissare dei punti di riferimento che aiutino ad orientarsi tra le serie di case tutte uguali. Sembra quindi molto difficile far emergere quel senso di empatia urbana di cui una città ha bisogno.4Le criticità dell’architettura modulare finora emerse portano inevitabilmente a produrre una riflessione su quali siano gli effettivi vantaggi di un modello così concepito e se, invece, non ce ne siano altri più fruttuosi. La nostra ipotesi per il futuro vuole quindi intravedere nell’architettura modulare l’esito di un processo costruttivo che trovi vantaggio in una produzione distribuita sul territorio. In questo senso, la produzione in serie come finora concepita viene messa in discussione, a favore di una produzione non più localizzata in una sola impresa, ma dislocata in più aziende distribuite sul territorio. Queste aziende, capaci di produrre singoli elementi in serie con un approccio sostenibile, sono pensate per poter cooperare formando un network di aziende produttrici al servizio dell’utente. Tale approccio consentirebbe di offrire al consumatore un prodotto che è risultato di una tecnologia combinata, offrendo in questo modo un’ampia personalizzazione ed un prodotto di eccellenza figlio di un modello altamente sostenibile. Il prodotto finale risulta essere così l’esito di un processo di progettazione condivisa che coinvolge tanto l’aspetto architettonico, quanto quello ingegneristico, sociale ed economico. L’architettura modulare così intesa, permetterebbe di porre una maggiore attenzione alle esigenze sia del singolo, che del gruppo sociale di riferimento. Risulterebbe infatti possibile realizzare ambienti studiati ad personam ed applicati in diversi territori, ottenendo vantaggi similari: abitazioni economiche che possano portare alla realizzazione di luoghi di convivialità volti al miglioramento della qualità della vita delle persone e alla rinascita dei territori stessi. Se inoltre “E’ noto come le imprese operanti nei mercati industriali debbano oggi perseguire contemporaneamente due obiettivi: da un lato la continua differenziazione del prodotto/servizio e l’adattamento ai bisogni applicativi dei clienti e dall’altro la continua contrazione dei costi e l’efficienza dei processi produttivi e distributivi”5, allora una produzione distribuita potrebbe rispondere in maniera sostenibile ed efficiente alla domanda di abitazioni sicure e a prezzi calmierati, non rinunciando all’individualità del singolo utente. Permettendo quindi alle piccole imprese, anch’esse in grado di essere altamente sostenibili nel proprio limitato raggio d’azione, di organizzarsi in comunità produttive, l’architettura modulare diviene quindi uno strumento non solo architettonico ed economico, ma anche sociale.Jacquard vuole così proporre un nuovo modello progettuale in cui il prodotto offerto sia il risultato di una filiera produttiva capace di considerare l’aspetto architettonico nella sua pienezza. Un modello di produzione condivisa che rispecchia a pieno l’anima di Jacquard: un’agorà in cui il dialogo e la collaborazione permettono di leggere l’architettura e la società con gli occhi dei giovani professionisti di domani.

JACQUARD of Living

www.jacquardofliving.com
info@jacquardofliving.com
@jacquardofliving

Sitografia

Garramone V., (2013) Studio dell’empatia in architettura. Analisi Metodi Esperimenti., Roma, Università La Sapienza, Facoltà di Architettura

Kohut, H. (1984), Il ruolo dell’empatia nella guarigione psicoanalitica. In La cura psicoanalitica. Torino, Boringhieri

Tunisini, A. (2006) Modularizzazione del prodotto e processi di creazione del valore nei mercati industriali. In Congresso internazionale “Le tendenze del marketing”, 20-21 Gennaio 2006 Venezia, Università Ca’ Foscari, pp 2

Storiografia

Josephine Buzzone (2016) Ri_visitati. Nakagin Capsule Tower, tutela vs demolizione. Available from: https://ilgiornaledellarchitettura.com/2019/02/06/ri_visitati-nakagin-capsule-tower-tutela-vs-demolizione/ [Accessed 11 April 2021]

Christoph Gielen (2014) Ciphers. Available from: https://www.christophgielen.com/newsite/ciphers-2/ [Accessed 11 April 2021]

Marco Tiberi (2018) IMMOREFUGEE. Available from: https://work.tiberiomar.com/IMMOREFUGEE [Accessed 11 April 2021]

Mary Turner (2016) Inside the homes of the Calais Jungle camp – in pictures. Available from: https://www.theguardian.com/world/gallery/2016/feb/27 [Accessed 11 April 2021]

1 Nel 2019, la percentuale media di persone che vive in condizioni abitative difficili in EU 27 è pari al 12,7% (Fonte: Eurostat, “Population living in a dwelling with a leaking roof, damp walls, floors or foundation or rot in window frames of floor by poverty status”), mentre la percentuale di persone che vivono in condizioni di sovraffollamento nell’UE 27 è pari al 17,1% nel 2019 (Fonte: Eurostat, Overcrowding rate by poverty status)

2 Nel 2018, la quantità di area di insediamento utilizzata per edifici, aree industriali e commerciali, infrastrutture, ecc. è pari a 703,4 mq pro-capite nella media EU 27

3 Il progetto è disponibile ai seguenti indirizzi: www.work.tiberiomar.com/IMMOREFUGEE | www.theguardian.com/world/gallery/2016/feb/27

4 Il progetto è disponibile al seguente indirizzo: www.christophgielen.com/newsite/category/work

5 Tunisini, A. (2006) Modularizzazione del prodotto e processi di creazione del valore nei mercati industriali. In Congresso internazionale “Le tendenze del marketing”, 20-21 Gennaio 2006 Venezia, Università Ca’ Foscari, pp 2


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