Negli ultimi decenni, il crescente interesse per le tematiche ambientali e sociali ha portato ad un’evoluzione del ruolo dell’impresa all’interno della società moderna, imponendo nuovi principi e logiche di gestione strategica. Oggigiorno, le imprese non sono tenute solo al raggiungimento di prestabilite performance economiche ma la visione aziendale deve altresì integrare tutto ciò che riguarda la dimensione sociale e ambientale, secondo un approccio di management che tenga conto dell’intero impatto che l’impresa produce sulla società e sull’ambiente. Questo comporta l’adozione, da parte delle imprese, di un “ruolo sociale” e il riconoscimento di finalità non solo strettamente economiche ma anche di natura legale, etica e discrezionale. Il concetto di responsabilità sociale d’impresa (RSI) si fonda su queste considerazioni. La Commissione Europea nel Libro Verde definisce la RSI come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Nel corso degli anni, il concetto di responsabilità sociale ha ispirato diversi modelli di business, accomunati dall’esigenza di integrare valore economico e sostenibilità. Tra questi, il capitalismo umanistico rappresenta la massima espressione di responsabilità sociale.
Per capitalismo umanistico si intende un modello di business che colloca al centro della visione aziendale la pluralità di soggetti impegnati nei processi di creazione del valore, esaltandone il valore, la dignità, l’unicità e le aspirazioni, senza trascurarne la sfera personale, quindi tenendo a mente bisogni personali e familiari dei lavoratori. Alla base del capitalismo umanistico si colloca una strategia orientata all’agire responsabile, etico e “umano” dell’impresa, la quale deve condurre sia al perseguimento della competitività aziendale, sia alla crescita e al benessere delle persone e dei luoghi alla base stessa di quella competitività aziendale. In quest’ottica, l’obiettivo dell’impresa umanistica non è la produzione di ricchezza; piuttosto, essa è volta al conseguimento del giusto profitto, inteso come un guadagno economico ottenuto eticamente, senza danno alcuno e che viene in parte utilizzato per finanziare iniziative in grado di migliorare concretamente la condizione della vita umana: un ambiente di lavoro confortevole, servizi di pubblica utilità, scuole, recupero dei beni culturali del territorio.
Il caso di Brunello Cucinelli dimostra che è possibile conciliare la produzione di ricchezza con il conseguimento del benessere sociale, avendo un grande rispetto per il territorio e per la dignità economica e morale. Brunello Cucinelli può essere considerato il principale esponente del capitalismo umanistico italiano. Nato a Castel Rigone, frazione del comune di Passignano sul Trasimeno (PG), nel 1978 fonda una piccola impresa per colorare il cashmere. Sin da subito, Brunello imposta la sua attività seguendo un principio di dignità morale ed economica dell’essere umano, come egli stesso dice nel proprio sito web. L’intento del noto imprenditore umbro è quello di creare un posto di lavoro che sia soddisfacente sia a livello economico che morale. Perno centrale del capitalismo umanistico ideato da Brunello Cucinelli sono dunque le persone, i lavoratori ed il territorio.
Innanzitutto, l’attenzione verso il benessere dei dipendenti è testimoniata dall’organizzazione aziendale. L’orario di lavoro dei dipendenti è limitato: la giornata lavorativa inizia alle 8.00 e si conclude necessariamente alle 17.30. Sono vietate tutte le attività lavorative fuori orario. È inoltre garantita una pausa pranzo della durata di un’ora e mezza che avviene all’interno di una mensa convenzionata. L’attenzione che Cucinelli ripone per la dignità dei lavoratori ha le sue radici nel ricordo dell’esperienza del padre, prima lavoratore agricolo e poi operaio in fabbrica, massacrato da pesanti turni di lavoro. Tutto ciò ha portato Brunello a maturare una forma umanista del lavoro, una sorta di capitalismo etico, in grado di dare nuova morale e nuova dignità alla persona stessa.
Nell’ottica di Cucinelli, la realizzazione del capitalismo umanistico passa anche per la valorizzazione del territorio che ospita l’azienda. Ciò avviene attraverso la destinazione di una parte degli utili e dei margini operativi aziendali alla realizzazione di opere destinate alla collettività nella città umbra di Solomeo, appunto sede dell’azienda: negli anni, Brunello Cucinelli ha costruito una biblioteca, un teatro e un anfiteatro, ha restaurato edifici antichi (come, ad esempio, il Castello Medievale) e spazi pubblici. In futuro, è prevista la realizzazione di tre parchi: Parco Agrario, Parco dell’Industria e Parco dell’Oratorio Laico, dove nasceranno vigneti, frutteti e persino uno stadio. Per i giovani, invece, è stata creata la “scuola dei mestieri”: l’obiettivo è garantire la diffusione dei valori della qualità, della creatività, dell’artigianalità e della tradizione del Made in Italy attraverso l’insegnamento di arti antiche come l’antica sartoria, le arti murarie, l’orticoltura e il giardinaggio e rimaglio e rammendo.
Il successo conseguito da Brunello Cucinelli testimonia come sia possibile conciliare fatturato e filantropia. Le scelte strategiche dell’imprenditore umbro del cashmere hanno portato alla realizzazione di un’impresa di successo dal punto di vista economico, come testimoniano gli ottimi risultati del primo trimestre del 2022 che segnalano una crescita del 19,6% dei ricavi netti pari a 196,9 milioni di euro. Allo stesso tempo, possiamo parlare di un’azienda con “un’anima”, il perfetto esempio di creazione di benessere economico e sociale condiviso in primis con tutti coloro che a differente titolo partecipano all’avventura imprenditoriale e, più in generale, con l’intera comunità sociale.
In conclusione, il caso Cucinelli entra di diritto nella letteratura accademica, rappresentando un modello di business di successo a cui i manager potranno ispirarsi.
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